C’è il drakon greco che Ennio Morricone volle come cover di Marco Polo nel 1982; il gargoyle che nello stesso anno segnò la nascita dei REM con Chronic Town; e “l’occhio che tutto vede”, uno dei simboli più noti dell’antico Egitto che The Alan Parsons Project lanciarono per Eye in the Sky.
E il serpente bifaccia degli Aztechi che Vangelis scelse per Mask, tre anni dopo, la copertina di Paul Whitehead, i due innamorati medievali di Trespass dei Genesis del 1970; la Sfinge di Gaza che finì sulla copertina di Hot in the shade (1989), quindicesimo album dei Kiss, il più lungo mai registrato dal gruppo.
È “Archeologia a 33 giri. Vinili da museo“, la mostra assolutamente sui generis patrocinata dal Parco archeologico e ospitata dal Museo archeologico “Pietro Griffo” di Agrigento fino al 7 aprile. La curatela è firmata da uno speaker radiofonico e da un’archeologa.
Nata da un’idea di Filippo Barbaro, storico speaker radiofonico palermitano ed appassionato collezionista divinili, “Archeologia a 33 giri. Vinili da museo” intende creare uno stretto legame tra il mondo musicale e quello artistico–archeologico. Si srotola su copertine di vinili su cui “l’immagine dominante, ricalca o è tratta da reperti archeologici, dalla preistoria all’antico Egitto ai precolombiani, dalla civiltà greca o romana al Medioevo” spiega l’archeologa Donatella Mangione.
Trovano spazio in vetrine e pannelli, sia 12 cover originali, sia una trentina di riproduzioni video. “Gli “involucri” dei vinili, che nascono semplicemente con una funzione protettiva, diventano così originali prodotti d’arte” dice Filippo Barbaro.
Il ristretto spazio di un LP è per gli artisti una sfida alla sintesi ed all’immaginazione creativa, deve rappresentare il prodotto musicale contenuto in rapporto al suo contesto culturale e di costume. L’immagine della copertina, quindi, è immediata percezione dell’opera musicale che supporta, richiamando o interpretando o annunciando il suo messaggio.